DIALOGHI sul BENESSERE

e sul MALESSERE

emozioni primarie
Autore: Irene Tria 01 lug, 2020
Differenze nel tipo di comunicazione e messaggi che veicolano
pianeti del sistema solare
Autore: Irene Tria 25 giu, 2020
Ognuno ha il suo linguaggio e comunicare significa trovare il modo per intendersi; il fraintendimento è parte del processo comunicativo, proprio perchè ognuno fornisce a ciò che ascolta un proprio senso.
Casette in legno vicine
Autore: Irene Tria 15 giu, 2020
✅ Il punto da cui desidero partire è che la comunicazione è relazione : coinvolge sempre qualcun altro, anche quando svolgiamo un dialogo interiore. Ti sarà infatti capitato di parlare “tra te e te” e di scoprire di essere “diviso” tra due parti che dialogano o - molto più spesso - che confliggono perchè in disaccordo; ad esempio da una parte la voce interiore che ti dice che cosa sarebbe necessario fare, mentre l’altra dice he non ne ha voglia, è stanca e trova scuse per rimandare. È come se avessimo più “persone” dentro di noi, ognuna delle quali svolge un ruolo, e si sviluppano a partire dall’infanzia: essendo cristallizzati in ruoli fissi possono essere causa di conflitti interiori e/o indecisioni. 😱 Quindi, no! non sei matto! Queste “voci” le abbiamo tutti 😁 Tornando all’assunto di partenza, che la comunicazione è relazione, anche in questo caso il dialogo interiore è relazionale perchè prevede un “altro da me”, appunto. Quando il processo avviene fuori di noi, ci rivolgiamo sempre ad almeno un interlocutore, a cui vogliamo inviare dei contenuti che ci consentano di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno: comprensione, aiuto, attenzione, servizio. In ogni caso ogni nostra azione ha in sé una componente comunicativa, poichè c’è un’intenzione (consapevole o inconsapevole) di noi verso il mondo e c’è qualcuno che la interpreta, le fornisce un significato. Per spiegare meglio questo punto farò capo al primo assioma concepito da Watzlavick (1967) 1️⃣º NON SI PUÒ NON COMUNICARE Secondo questo assioma ogni nostro comportamento ha un valore di comunicazione, cioè trasmette un messaggio nell’ambiente, il quale interpreterà, darà significato a quel comportamento. In questo senso anche il silenzio è un atto comunicativo : infatti lo stare in silenzio in un gruppo o durante una conversazione, può suscitare reazioni diverse nei nostri interlocutori, che tenteranno di dare un senso a questo silenzio, interpretando secondo le proprie conoscenze di noi, secondo i propri parametri culturali, educativi e sociali, secondo la loro risposta emotiva (potranno pensare ad esempio che il silenzio significhi disaccordo se sono particolarmente ansiosi o insicuri, potranno pensare che cela rabbia se ci sono tensioni, potrà essere letto come indifferenza se sentono tristezza o sono in contatto con una mancanza, ecc). Il punto non è tanto se l’interpretazione sarà corretta o meno, ma rendersi conto che inevitabilmente il nostro comportamento susciterà delle reazioni, così come il comportamento dell’altro genererà delle nostre risposte quantomeno emotive. Allora è importante che iniziamo a prenderci cura di questo e riuscire a fare chiarezza prima di tutto a noi stessi rispetto ciò che sentiamo, vogliamo/desideriamo in una situazione. Questa chiarezza ci aiuterà a posizionarci con i nostri interlocutori e diminuirà la possibilità di fraintendimento (lezione 2 - La comunicazione è fraintendimento) Nella lezione 3 presenterò alcuni esercizi per aumentare la nostra consapevolezza sulle nostre emozioni.
Autore: Irene Tria 15 giu, 2020
Quando affrontiamo il tema della comunicazione implicitamente stiamo anche toccando l’argomento delle relazioni: l’atto comunicativo è infatti un atto relazionale. Titolare una rubrica “Comunicazione relazionale” risulta quindi una ridondanza, ma allora perché ho scelto proprio questo titolo? È frequente sentirsi frustrati in una conversazione, perché si ha la sensazione di non sentirsi capiti, compresi o poiché non riusciamo a far arrivare all’altro ciò che intendiamo: spesso ne usciamo irritati, tristi, demotivati o rassegnati. A volte pensiamo che per essere capiti dobbiamo trovare l’altro in accordo con noi, oppure lo accusiamo di non ascoltare . Il processo comunicativo è molto complesso perché in campo vi sono numerosi elementi che concorrono a influenzare il messaggio che vogliamo trasmettere. Ho quindi deciso di sviluppare questo tema in una rubrica divisa per argomenti, in cui oltre ad una parte “teorica” ti indicherò degli esperimenti/giochi da fare. La finalità di questi brevi appuntamenti è: 📌 stimolare la tua curiosità e auto-osservazione, di aiutarti ad osservare come ti muovi in una conversazione, a cosa dai importanza, cosa osservi e come reasci nelle situazioni; 📌 offrirti - attraverso esempi o giochi - la possibilità di sperimentare altre possibilità di incontro con l’altro, con l’augurio che queste suggestioni ti consentano di migliorare (un po’) le tue conversazioni. Non ho la pretesa di esaurire gli argomenti che tratterò e soprattutto non offrirò ricette segrete, sono piuttosto sospettosa con i professionisti che tentano di farlo. La comunicazione è un processo che coinvolge aspetti piuttosto intimi, personali e relazionali, e sento rischioso procedere per generalizzazioni, cosa che in parte è inevitabile, quando appunto si trattano questi temi in modo divulgativo. Lo scopo di questi appuntamenti quindi è di offrire una possibile visione e delle suggestioni anche attraverso giochi ed esperimenti. Quello che ti invito a fare è posare le lenti con cui sei abituato a guardare il mondo e a renderti disponibile a sorprenderti, incuriosirti. Qualora tu abbia dubbi, considerazioni, richiesta di consigli, puoi inviarmi una mail cliccando sul pulsante che trovi in basso a destra sulla pagina specificando la richiesta. Ciò di cui scriverò è la sintesi di diverse esperienze acquisite negli anni: ✓ teorie e conoscenze maturate nel corso degli studi universitari (psicologia) ✓competenze specifiche acquisite per l’insegnamento della comunicazione aziendale presso agenzie di formazione in corsi rivolti a persone con contratto di apprendistato. ✓crescita e sviluppo professionale durante la formazione in psicoterapia della gestalt: sviluppo di un’ottica fenomenologica (il cui presupposto è la sospensione del giudizio), sguardo al processo di gruppo, riformulazione della domanda, ascolto empatico e simpatico, processo di identificazione/alienazione, capacità di identificare i propri bisogni e di comunicarli, ciclo ermeneutico della comunicazione (basato su continuo feedback e verifica della comprensione della comunicazione)

Autore: Irene Tria 03 ott, 2017
Perché vogliamo essere ascoltati e perché, la maggior parte delle volte, accusiamo l’altro di non ascoltarci? Una prima importante differenza è tra la capacità di sentire e quella di ascoltare : sentire è il verbo che si riferisce all’abilità dell’orecchio di catturare i suoni e che ci permette di comprendere cosa accade intorno a noi: parole, voci, suoni, ronzii, ecc. Questa competenza non richiede necessariamente la nostra attenzione , quindi è possibile sentire, senza necessariamente ricordare o prestare attenzione: ad esempio quando ci accorgiamo di suoni in lontananza, del rumore delle auto sotto casa, quando qualcuno ci parla e sentiamo qualcosa del tipo: “bla-bla-bla-bla” In questa descrizione è contenuta già la differenza con l’ascoltare e cioè la variabile dell’attenzione. Ora, questa competenza non è esclusivamente cognitiva , ma richiede proprio un’attitudine. Le caratteristiche sono la qualità della presenza e quindi di esser-ci per l’altro interamente , con i sensi, con il pensiero e con l’accoglienza. Se sintetizziamo il concetto in un’immagine è qualcuno che ha le braccia in apertura verso l’altro, cioè che permette all’altro di “entrare”, o meglio, che si rende disponibile ad accogliere l’altro, con tutto ciò che dice, sente, è. Quando penso al mio lavoro, di psicoterapeuta, questa è la prima competenza che si sviluppa e si allena, e in parte, anche la più complessa. Perché non è semplice ascoltare stando di fronte a qualcuno, senza mettere in mezzo le proprie idee, opinioni, e rimanendo anche in ascolto di ciò che sento di fronte all’altro che mi racconta di sè. Infatti, sebbene nel mio lavoro utilizzi questa competenza come uno degli strumenti fondamentali, nella vita privata mi rendo conto che è meno spontaneo rimanere in ascolto: la difficoltà nasce nelle situazioni in cui sono coinvolta emotivamente, ad esempio in presenza di conflitti, in cui ho bisogno di esternare le mie ragioni, in cui entrano in gioco le mie aspettative (ad es. rispetto il comportamento dell’altro), quindi diventa complesso mettersi in una posizione di presenza, attesa ed accoglienza. In queste occasioni, il bisogno è quello di potersi esprimere all’altro e - contemporaneamente - che l’interlocutore ci riconosca, ci capisca e ci accolga, il che non comporta necessariamente l’essere d’accordo, quanto più la possibilità che l’altro possa essere lì per noi e non - ad esempio come può accadere - che pensi ad altro, inizi a parlare dei suoi problemi, ci fornisca la sua opinione, i suoi consigli oppure, quando va proprio male…ci dica che stiamo sbagliando! A fronte di ciò, lo spazio della terapia diventa elettivo rispetto alla possibilità di sentire appagato il proprio bisogno di essere ascoltati , quindi accolti, senza che l’altro metta in mezzo le sue ragioni, o pensi ad altro, o abbia aspettative che inquinano in qualche modo la qualità della presenza, dell’essere lì-per-l’altro. Lo spazio della terapia è il luogo in cui le sensazioni, i pensieri, l’immaginario del terapeuta diventano strumento del processo di ascolto e quindi restituiscono al paziente un’esperienza di accoglienza, di accettazione e di riconoscimento fondamentali per la propria autostima e percezione di sé.
Autore: Irene Tria 16 gen, 2017
Assisto ad una numerosa e crescente promozione di eventi, percorsi, attività finalizzati alla “crescita personale”….perchè usiamo molto questo termine? Il concetto di crescita presuppone l’ accettazione di ciò che esiste contemporaneamente al desiderio di migliorarlo . Il cambiamento , in questo senso, è parte del processo di crescita , anziché l’obiettivo. Al contrario, promuovere un percorso finalizzato al “cambiamento”, presuppone che ciò che c’è (in termini di situazione, di come una persona è fatta) non vada bene. È chiaro che se esiste una sofferenza, qualcosa non va, ma orientarsi al cambiarla, rischia di mettere la persona in una condizione impossibile. Perché? Perché cambiare significa sostituire , realizzare qualcosa di diverso da ciò che esiste con il rischio di voler “buttar via tutto” ciò che c’è. E questo è impossibile… Una volta qualcuno mi disse: se sono nato carciofo, non posso diventare rosa! Credo che il vero cambiamento sia un movimento spontaneo nel momento in cui siamo in grado di accettare ciò che c’è per come è, quando impariamo a riconoscere che tutto quello che facciamo, siamo e abbiamo in un determinato momento della nostra vita è il massimo ed il meglio che noi siamo in grado di fare, in quella situazione, in quel determinato momento…nel qui-e-ora. Quando ciò avviene, quando siamo disposti ad accettare, siamo già cambiati, perché non siamo più ostinati a guardare a cosa non va, ma siamo disponibili a stare con quel che c’è e a diventare curiosi di come possiamo migliorarlo o migliorarci. Adottare dunque l’ottica della crescita significa essere disposti ad imparare dalle situazioni, con l’obiettivo di sviluppare, migliorare le proprie risorse e muoversi verso l’acquisizione di nuove competenze e maggiori strategie o possibilità. Insomma, acquisire l’ottica della crescita è come fare l’ upgrade di un software: le sue funzioni sono sempre le stesse, tuttavia risponde in modo più efficace alle modificazioni dell’ambiente e aumenta le proprie prestazioni. In questo senso, dunque, il cambiamento è parte del processo di crescita e non ne è l’obiettivo perché appunto il percorso di crescita presuppone un tempo per accettare ciò che si è quindi di incontrare i propri ideali, i propri modelli di “perfezione” e abbandonarli, ridefinirli o ridimensionarli in base a ciò che sono…questa è la radice del cambiamento . Per finire...una canzone di Niccolò Fabi che rende l'idea...già solo dal titolo! ;) Buona visione e buon Ascolto

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