Quando affrontiamo il tema della comunicazione implicitamente stiamo anche toccando l’argomento delle relazioni: l’atto comunicativo è infatti un atto relazionale.
Titolare una rubrica “Comunicazione relazionale” risulta quindi una ridondanza, ma allora perché ho scelto proprio questo titolo?
È frequente sentirsi frustrati in una conversazione, perché si ha la sensazione di non sentirsi capiti, compresi o poiché non riusciamo a far arrivare all’altro ciò che intendiamo: spesso ne usciamo irritati, tristi, demotivati o rassegnati.
A volte pensiamo che per essere capiti dobbiamo trovare l’altro in accordo con noi, oppure lo accusiamo di
non ascoltare.
Il processo comunicativo è molto complesso perché in campo vi sono numerosi elementi che concorrono a influenzare il messaggio che vogliamo trasmettere.
Ho quindi deciso di sviluppare questo tema in una rubrica divisa per argomenti, in cui oltre ad una parte “teorica” ti indicherò degli esperimenti/giochi da fare.
La finalità di questi brevi appuntamenti è:
📌 stimolare la tua curiosità e auto-osservazione,
di aiutarti ad osservare come ti muovi in una conversazione, a cosa dai importanza, cosa osservi e come reasci nelle situazioni;
📌 offrirti - attraverso esempi o giochi - la possibilità di sperimentare altre possibilità
di incontro con l’altro, con l’augurio che queste suggestioni ti consentano di migliorare (un po’) le tue conversazioni.
Non ho la pretesa di esaurire gli argomenti
che tratterò e soprattutto non offrirò ricette segrete, sono piuttosto sospettosa con i professionisti che tentano di farlo.
La comunicazione è un processo che coinvolge aspetti piuttosto intimi, personali e relazionali, e sento rischioso procedere per generalizzazioni, cosa che in parte è inevitabile, quando appunto si trattano questi temi in modo divulgativo.
Lo scopo di questi appuntamenti quindi è di offrire una possibile visione e delle suggestioni
anche attraverso giochi ed esperimenti.
Quello che ti invito a fare è posare le lenti con cui sei abituato a guardare il mondo e a renderti disponibile a sorprenderti, incuriosirti.
Qualora tu abbia dubbi, considerazioni, richiesta di consigli,
puoi inviarmi una mail cliccando sul pulsante che trovi in basso a destra sulla pagina
specificando la richiesta.
Ciò di cui scriverò è la sintesi di diverse esperienze acquisite negli anni:
✓ teorie e conoscenze maturate nel corso degli studi universitari (psicologia)
✓competenze specifiche acquisite per l’insegnamento della comunicazione aziendale presso agenzie di formazione in corsi rivolti a persone con contratto di apprendistato.
✓crescita e sviluppo professionale durante la formazione in psicoterapia della gestalt:
sviluppo di un’ottica fenomenologica (il cui presupposto è la sospensione del giudizio),
sguardo al processo di gruppo,
riformulazione della domanda,
ascolto empatico e simpatico,
processo di identificazione/alienazione,
capacità di identificare i propri bisogni e di comunicarli,
ciclo ermeneutico della comunicazione (basato su continuo feedback e verifica della comprensione della comunicazione)
🎯 L’OTTICA FENOMENOLOGICA
In uno scambio comunicativo vuol dire prestare attenzione a:
✓ sospensione del giudizio (per un approfondimento ti rimandiamo al
video),
✓ attenzione alle proprie emozioni, sensazioni
✓ capacità di posizionarsi ed essere chiari all’interno di una conversazione e di una relazione in generale, identificando ciò di cui si ha bisogno e di come l’altro può sostenerci
Approfondirò il tema dell'approccio fenomenologico in uno dei prossimi appuntamenti; qui intanto ti invito a tenerne conto, ad osservare quando ti è possibile usarli nelle conversazioni e a sperimentarli
*Per un approfondimento sulla fenomenologia, ti invito a guardare anche questo video realizzato da un collega
Prima di passare agli specifici argomenti, ti invito a guardare questo esperimento:
ad una madre viene chiesto di modulare la comunicazione con il figlio attraverso espressioni, mimica, tono della voce in modo consueto.
Ad un certo punto le viene chiesto di interrompere ogni comunicazione, attraverso un volto inespressivo, assenza di vocalità e senza rispondere agli stimoli del figlio.
Il bambino resta inizialmente stupefatto, e poco dopo inizia a sviluppare modi per attirare l’attenzione della madre e suscitare un qualsiasi tipo di risposta, anche attraverso il pianto.
Infine, senza ottenere successo e per “governare” l’angoscia emergente, il bambino “si spegne e volge lo sguardo da un’altra parte, diventando egli stesso inespressivo, privo di interesse e vitalità.