COMUNICAZIONE RELAZIONALE - La rubrica per migliorare il proprio stile comunicativo nelle relazioni

Irene Tria • giu 15, 2020
Quando affrontiamo il tema della comunicazione implicitamente stiamo anche toccando l’argomento delle relazioni: l’atto comunicativo è infatti un atto relazionale.
Titolare una rubrica “Comunicazione relazionale” risulta quindi una ridondanza, ma allora perché ho scelto proprio questo titolo?

È frequente sentirsi frustrati in una conversazione, perché si ha la sensazione di non sentirsi capiti, compresi o poiché non riusciamo a far arrivare all’altro ciò che intendiamo: spesso ne usciamo irritati, tristi, demotivati o rassegnati.
A volte pensiamo che per essere capiti dobbiamo trovare l’altro in accordo con noi, oppure lo accusiamo di non ascoltare.

Il processo comunicativo è molto complesso perché in campo vi sono numerosi elementi che concorrono a influenzare il messaggio che vogliamo trasmettere.

Ho quindi deciso di sviluppare questo tema in una rubrica divisa per argomenti, in cui oltre ad una parte “teorica” ti indicherò degli esperimenti/giochi da fare.
La finalità di questi brevi appuntamenti è:
📌 stimolare la tua curiosità e auto-osservazione, di aiutarti ad osservare come ti muovi in una conversazione, a cosa dai importanza, cosa osservi e come reasci nelle situazioni; 
📌 offrirti - attraverso esempi o giochi - la possibilità di sperimentare altre possibilità di incontro con l’altro, con l’augurio che queste suggestioni ti consentano di migliorare (un po’) le tue conversazioni.

Non ho la pretesa di esaurire gli argomenti che tratterò e soprattutto non offrirò ricette segrete, sono piuttosto sospettosa con i professionisti che tentano di farlo.
La comunicazione è un processo che coinvolge aspetti piuttosto intimi, personali e relazionali, e sento rischioso procedere per generalizzazioni, cosa che in parte è inevitabile, quando appunto si trattano questi temi in modo divulgativo.
Lo scopo di questi appuntamenti quindi è di offrire una possibile visione e delle suggestioni anche attraverso giochi ed esperimenti.
Quello che ti invito a fare è posare le lenti con cui sei abituato a guardare il mondo e a renderti disponibile a sorprenderti, incuriosirti.

Qualora tu abbia dubbi, considerazioni, richiesta di consigli, 
puoi inviarmi una mail cliccando sul pulsante che trovi in basso a destra sulla pagina 
specificando la richiesta. 

Ciò di cui scriverò è la sintesi di diverse esperienze acquisite negli anni: 
✓ teorie e conoscenze maturate nel corso degli studi universitari (psicologia)
✓competenze specifiche acquisite per l’insegnamento della comunicazione aziendale presso agenzie di formazione in corsi rivolti a persone con contratto di apprendistato.
✓crescita e sviluppo professionale durante la formazione in psicoterapia della gestalt: 
sviluppo di un’ottica fenomenologica (il cui presupposto è la sospensione del giudizio), 
sguardo al processo di gruppo, 
riformulazione della domanda, 
ascolto empatico e simpatico, 
processo di identificazione/alienazione, 
capacità di identificare i propri bisogni e di comunicarli, 
ciclo ermeneutico della comunicazione (basato su continuo feedback e verifica della comprensione della comunicazione)


🎯 L’OTTICA FENOMENOLOGICA
In uno scambio comunicativo vuol dire prestare attenzione a:
✓ sospensione del giudizio (per un approfondimento ti rimandiamo al video), 
✓ attenzione alle proprie emozioni, sensazioni 
✓ capacità di posizionarsi ed essere chiari all’interno di una conversazione e di una relazione in generale, identificando ciò di cui si ha bisogno e di come l’altro può sostenerci

Approfondirò il tema dell'approccio fenomenologico in uno dei prossimi appuntamenti; qui intanto ti invito a tenerne conto, ad osservare quando ti è possibile usarli nelle conversazioni e a sperimentarli
*Per un approfondimento sulla fenomenologia, ti invito a guardare  anche questo video realizzato da un collega

Prima di passare agli specifici argomenti, ti invito a guardare questo esperimento:
ad una madre viene chiesto di modulare la comunicazione con il figlio attraverso espressioni, mimica, tono della voce in modo consueto.
Ad un certo punto le viene chiesto di interrompere ogni comunicazione, attraverso un volto inespressivo, assenza di vocalità e senza rispondere agli stimoli del figlio.
Il bambino resta inizialmente stupefatto, e poco dopo inizia a sviluppare modi per attirare l’attenzione della madre e suscitare un qualsiasi tipo di risposta, anche attraverso il pianto.
Infine, senza ottenere successo e per “governare” l’angoscia emergente, il bambino “si spegne e volge lo sguardo da un’altra parte, diventando egli stesso inespressivo, privo di interesse e vitalità.
Il video ti ha colpit*???
Ehh già… la prima volta che lo vidi mi emozionai moltissimo e mi resi conto di quanto la comunicazione, emotiva soprattutto, sia fondamentale per la nostra sopravvivenza!

E ora, possiamo iniziare!

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    ✅ Il punto da cui desidero partire è che la comunicazione è relazione : coinvolge sempre qualcun altro, anche quando svolgiamo un dialogo interiore. Ti sarà infatti capitato di parlare “tra te e te” e di scoprire di essere “diviso” tra due parti che dialogano o - molto più spesso - che confliggono perchè in disaccordo; ad esempio da una parte la voce interiore che ti dice che cosa sarebbe necessario fare, mentre l’altra dice he non ne ha voglia, è stanca e trova scuse per rimandare. È come se avessimo più “persone” dentro di noi, ognuna delle quali svolge un ruolo, e si sviluppano a partire dall’infanzia: essendo cristallizzati in ruoli fissi possono essere causa di conflitti interiori e/o indecisioni. 😱 Quindi, no! non sei matto! Queste “voci” le abbiamo tutti 😁 Tornando all’assunto di partenza, che la comunicazione è relazione, anche in questo caso il dialogo interiore è relazionale perchè prevede un “altro da me”, appunto. Quando il processo avviene fuori di noi, ci rivolgiamo sempre ad almeno un interlocutore, a cui vogliamo inviare dei contenuti che ci consentano di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno: comprensione, aiuto, attenzione, servizio. In ogni caso ogni nostra azione ha in sé una componente comunicativa, poichè c’è un’intenzione (consapevole o inconsapevole) di noi verso il mondo e c’è qualcuno che la interpreta, le fornisce un significato. Per spiegare meglio questo punto farò capo al primo assioma concepito da Watzlavick (1967) 1️⃣º NON SI PUÒ NON COMUNICARE Secondo questo assioma ogni nostro comportamento ha un valore di comunicazione, cioè trasmette un messaggio nell’ambiente, il quale interpreterà, darà significato a quel comportamento. In questo senso anche il silenzio è un atto comunicativo : infatti lo stare in silenzio in un gruppo o durante una conversazione, può suscitare reazioni diverse nei nostri interlocutori, che tenteranno di dare un senso a questo silenzio, interpretando secondo le proprie conoscenze di noi, secondo i propri parametri culturali, educativi e sociali, secondo la loro risposta emotiva (potranno pensare ad esempio che il silenzio significhi disaccordo se sono particolarmente ansiosi o insicuri, potranno pensare che cela rabbia se ci sono tensioni, potrà essere letto come indifferenza se sentono tristezza o sono in contatto con una mancanza, ecc). Il punto non è tanto se l’interpretazione sarà corretta o meno, ma rendersi conto che inevitabilmente il nostro comportamento susciterà delle reazioni, così come il comportamento dell’altro genererà delle nostre risposte quantomeno emotive. Allora è importante che iniziamo a prenderci cura di questo e riuscire a fare chiarezza prima di tutto a noi stessi rispetto ciò che sentiamo, vogliamo/desideriamo in una situazione. Questa chiarezza ci aiuterà a posizionarci con i nostri interlocutori e diminuirà la possibilità di fraintendimento (lezione 2 - La comunicazione è fraintendimento) Nella lezione 3 presenterò alcuni esercizi per aumentare la nostra consapevolezza sulle nostre emozioni.

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