1 - LA COMUNICAZIONE È RELAZIONE

Irene Tria • giu 15, 2020
✅ Il punto da cui desidero partire è che la comunicazione è relazione:
coinvolge sempre qualcun altro, anche quando svolgiamo un dialogo interiore.

Ti sarà infatti capitato di parlare “tra te e te” e di scoprire di essere “diviso” tra due parti che dialogano o - molto più spesso - che confliggono perchè in disaccordo; ad esempio da una parte la voce interiore che ti dice che cosa sarebbe necessario fare, mentre l’altra dice he non ne ha voglia, è stanca e trova scuse per rimandare.
È come se avessimo più “persone” dentro di noi, ognuna delle quali svolge un ruolo, e si sviluppano a partire dall’infanzia: essendo cristallizzati in ruoli fissi possono essere causa di conflitti interiori e/o indecisioni.
😱 Quindi, no! non sei matto! Queste “voci” le abbiamo tutti 😁
Tornando all’assunto di partenza, che la comunicazione è relazione, anche in questo caso il dialogo interiore è relazionale perchè prevede un “altro da me”, appunto.

Quando il processo avviene fuori di noi, ci rivolgiamo sempre ad almeno un interlocutore, a cui vogliamo inviare dei contenuti che ci consentano di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno: comprensione, aiuto, attenzione, servizio.

In ogni caso ogni nostra azione ha in sé una componente comunicativa, poichè c’è un’intenzione (consapevole o inconsapevole) di noi verso il mondo e c’è qualcuno che la interpreta, le fornisce un significato.
Per spiegare meglio questo punto farò capo al primo assioma concepito da Watzlavick (1967)
1️⃣º NON SI PUÒ NON COMUNICARE
Secondo questo assioma ogni nostro comportamento ha un valore di comunicazione, cioè trasmette un messaggio nell’ambiente, il quale interpreterà, darà significato a quel comportamento.
In questo senso anche il silenzio è un atto comunicativo: infatti lo stare in silenzio in un gruppo o durante una conversazione, può suscitare reazioni diverse nei nostri interlocutori, che tenteranno di dare un senso a questo silenzio, interpretando secondo le proprie conoscenze di noi, secondo i propri parametri culturali, educativi e sociali, secondo la loro risposta emotiva (potranno pensare ad esempio che il silenzio significhi disaccordo se sono particolarmente ansiosi o insicuri, potranno pensare che cela rabbia se ci sono tensioni, potrà essere letto come indifferenza se sentono tristezza o sono in contatto con una mancanza, ecc).
Il punto non è tanto se l’interpretazione sarà corretta o meno, ma rendersi conto che inevitabilmente il nostro comportamento susciterà delle reazioni, così come il comportamento dell’altro genererà delle nostre risposte quantomeno emotive.

Allora è importante che iniziamo a prenderci cura di questo e riuscire a fare chiarezza prima di tutto a noi stessi rispetto ciò che sentiamo, vogliamo/desideriamo in una situazione. Questa chiarezza ci aiuterà a posizionarci con i nostri interlocutori e diminuirà la possibilità di fraintendimento (lezione 2 - La comunicazione è fraintendimento)
Nella lezione 3 presenterò alcuni esercizi per aumentare la nostra consapevolezza sulle nostre emozioni.

🧩 GIOCHI

  • I CAPPELLI DEL DESTINO

    Nell'eterna battaglia tra buoni e cattivi 4️⃣ buoni vengono catturati dai cattivi e, siccome questi sono veramente molto, molto cattivi, li seppelliscono fino al collo nella sabbia e annunciano che il mattino dopo, all'alba, li uccideranno. I poveretti non possono muoversi, nè parlarsi, se no la loro fine sarà anticipata.

    3️⃣ di essi sono seppelliti uno davanti all'altro, il 4️⃣, per un bizzarro capriccio, è dietro un muro.

    Quindi 

    A non vede nessuno dei suoi compagni

    B si trova nella stessa condizione

    C vede B

    D può vedere i due che ha davanti.


    I buoni tanto si lamentano per la loro sorte che il capo dei cattivi, per aggiungere la beffa al danno, dice: "Va bene, vi darò la possibilità di salvarvi. Metteremo in testa a ciascuno di voi un cappello.

    I cappelli sarano 2 rosa e 2 neri. Uno solo di voi potrà parlare. 

    Se saprà dirci di che colore è il cappello che porta sarete salvi, se no morirete tutti"

Cliccando sulle frecce a destra scoprirai la spiegazione e la soluzione dell'indovinello
  • SPIEGAZIONE

    Il prigioniero A si trova oltre il muro e il passare del tempo non modifica significativamente le informazioni a sua disposizione

    Ugualmente avviene per B che si trova davanti al muro dall'altra parte

    C sa il colore del cappello di B, ma l'informazione in un primo momento non è sufficiente a consentirgli di dare la risposta. 

    D vede i cappelli sia di B sia di C e tace.


    Si produce quindi per C una modificazione della situazione iniziale ed essa non deriva da ciò che egli vede, ma da ciò che egli sente (il silenzio).

  • SOLUZIONE

    La modificazione delle informazioni (il fatto che D che è dietro di lui resti in silenzio) è significativo per C per capire che D non parla perchè è incerto.

    La sua incertezza indica che B e C hanno cappelli di colore diverso.


    IL SILENZIO DIVENTA UN ATTO DI COMUNICAZIONE


    A questo punto C, che vede il cappello rosa di B, può dedurre per differenza il colore del proprio cappello e dire "Nero", salvando se stesso e gli altri

Hai raggiunto anche tu la soluzione al gioco? È stato facile o difficile? Come ci sei arrivato?
Se ti fa piacere inviami una mail con le tue considerazioni, cliccando sul pulsante qui sotto.
⬇️
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IN SINTESI
🎯 La comunicazione è relazionale, comporta sempre la presenza di qualcun altro (sia esso soggetto fantasticato o reale). 
È quindi importante agevolare i processi comunicativi, prendendoci cura di tutto il processo comunicativo: non solo ciò che diciamo, ma anche come lo diciamo, come viene recepito, il contesto in cui parliamo, gli strumenti che utilizziamo.
🎯 Ogni atto ha un valore comunicativo. Poiché la comunicazione è relazione, allora ogni mio gesto avrà un effetto sull’altro: a volte consapevolmente, altre volte non consapevolmente. 
Influenziamo l’ambiente e l’ambiente ci influenza: come questo avviene è parte di un processo di co-costruzione.

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Quando affrontiamo il tema della comunicazione implicitamente stiamo anche toccando l’argomento delle relazioni: l’atto comunicativo è infatti un atto relazionale. Titolare una rubrica “Comunicazione relazionale” risulta quindi una ridondanza, ma allora perché ho scelto proprio questo titolo? È frequente sentirsi frustrati in una conversazione, perché si ha la sensazione di non sentirsi capiti, compresi o poiché non riusciamo a far arrivare all’altro ciò che intendiamo: spesso ne usciamo irritati, tristi, demotivati o rassegnati. A volte pensiamo che per essere capiti dobbiamo trovare l’altro in accordo con noi, oppure lo accusiamo di non ascoltare . Il processo comunicativo è molto complesso perché in campo vi sono numerosi elementi che concorrono a influenzare il messaggio che vogliamo trasmettere. Ho quindi deciso di sviluppare questo tema in una rubrica divisa per argomenti, in cui oltre ad una parte “teorica” ti indicherò degli esperimenti/giochi da fare. La finalità di questi brevi appuntamenti è: 📌 stimolare la tua curiosità e auto-osservazione, di aiutarti ad osservare come ti muovi in una conversazione, a cosa dai importanza, cosa osservi e come reasci nelle situazioni; 📌 offrirti - attraverso esempi o giochi - la possibilità di sperimentare altre possibilità di incontro con l’altro, con l’augurio che queste suggestioni ti consentano di migliorare (un po’) le tue conversazioni. Non ho la pretesa di esaurire gli argomenti che tratterò e soprattutto non offrirò ricette segrete, sono piuttosto sospettosa con i professionisti che tentano di farlo. La comunicazione è un processo che coinvolge aspetti piuttosto intimi, personali e relazionali, e sento rischioso procedere per generalizzazioni, cosa che in parte è inevitabile, quando appunto si trattano questi temi in modo divulgativo. Lo scopo di questi appuntamenti quindi è di offrire una possibile visione e delle suggestioni anche attraverso giochi ed esperimenti. Quello che ti invito a fare è posare le lenti con cui sei abituato a guardare il mondo e a renderti disponibile a sorprenderti, incuriosirti. Qualora tu abbia dubbi, considerazioni, richiesta di consigli, puoi inviarmi una mail cliccando sul pulsante che trovi in basso a destra sulla pagina specificando la richiesta. Ciò di cui scriverò è la sintesi di diverse esperienze acquisite negli anni: ✓ teorie e conoscenze maturate nel corso degli studi universitari (psicologia) ✓competenze specifiche acquisite per l’insegnamento della comunicazione aziendale presso agenzie di formazione in corsi rivolti a persone con contratto di apprendistato. ✓crescita e sviluppo professionale durante la formazione in psicoterapia della gestalt: sviluppo di un’ottica fenomenologica (il cui presupposto è la sospensione del giudizio), sguardo al processo di gruppo, riformulazione della domanda, ascolto empatico e simpatico, processo di identificazione/alienazione, capacità di identificare i propri bisogni e di comunicarli, ciclo ermeneutico della comunicazione (basato su continuo feedback e verifica della comprensione della comunicazione)


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Autore: Irene Tria 06 mag, 2024
Lo Shinrin yoku (bagno nella foresta) è una pratica avviata nel 1982 in Giappone a scopo terapeutico, basata cioè sull’intuizione che il contatto con la natura fosse foriero di benessere per le persone. Di questa pratica si è deciso di raccogliere elementi di carattere scientifico che avvallassero non solo l’ipotesi ma anche l'esperienza diffusa di un miglioramento della qualità della propria esistenza quando in contatto con la natura. Qing Li, nello specifico, ha condotto ricerche per riconoscere gli elementi caratterizzanti un maggior benessere quando immersi nella natura, in particolare nei boschi e ha scritto un testo in cui presenta i risultati di queste ricerche e delinea i benefici che conseguono alla pratica dello shinrin yoku, che non assume le caratteristiche di una semplice passeggiata nel bosco, bensì è un "immergersi nell'atmosfera della foresta farne esperienza con tutti e cinque i sensi. Consiste nell'entrare in contatto con la natura, nel connettersi ad essa attraverso le sensazioni fisiche" Li, Qing. Shinrin-yoku. Immergersi nei boschi: Il metodo giapponese per coltivare la felicità e vivere più a lungo Sembra che per coloro che abitano le città i livelli restino sempre piuttosto alti, poichè la vita è soggetta a numerosi stimoli che portano a mantenere l'organismo in stato cronico di allerta. Sappiamo anche dalla teorizzazioni di Perls e Goodman (i fondatori della terapia della gestalt) che uno stato di tensione cronico conduce sia a forme di desensibilizzazione , sia ad una compromissione nella capacità di autoregolazione ovvero all’incapacità di modulare la propria energia per sostenere azioni orientate al soddisfacimento dei nostri bisogni. Tendiamo quindi a vivere quindi in uno stato di allarme cronico, come se l’organismo fosse sempre pronto a reagire ad un pericolo imminente. In questo senso diventiamo nevrotici, sviluppiamo cioè una risposta rigida alla situazione, sperimentando un costante livello di allarme, in cui l’organismo si prepara o è allertato da un potenziale pericolo, benché non vi sia, dal momento che, una volta rimossi gli impedimenti o ciò che genera il pericolo, dovremmo tornare ad uno stato di quiete, mentre questo non è ciò che accade nella maggior parte dei casi. Le manifestazioni ansiose infatti, sono una tipica espressione di questo processo e ne parleremo in dettaglio in un articolo ad esso dedicato.
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